mercoledì 8 ottobre 2014

ETTORE GRAMAGLIA e GIANCARLO GRAMAGLIA


ETTORE GRAMAGLIA E GIANCARLO GRAMAGLIA

Le Comari, olio su tavola  (76x120)
Così il commento del figlio Giancarlo:
Denominato anche le "comari"
in allusione alla loquacità, o "costumi portoghesi in confidenza".
L'uomo è un parlessere.
Esseri parlanti:
la dignità del dire sta sullo stesso piano della confidenza ed è la condizione del rapporto.E' un omaggio a J. Lacan e al suo lavoro.



Comincerò a parlare di quell'eccezionale figura che è stata Ettore Gramaglia e invierò questo mio scritto al Comune di Ciriè chiedendo che l’uomo Ettore Gramaglia, il cittadino ETTORE GRAMAGLIA, il pittore Ettore Gramaglia, sia onorato dedicandogli una via, una piazza, una sala nella città dove ha lavorato per anni in cartiera De Medici, diventandone apprezzato direttore, dove ha gestito il cinema Richiardi disegnando fondali, dirigendo spettacoli, producendo arredi e dove ha dipinto i suoi grandi, stupendi quadri. Ho fatto la stessa cosa per l’ing. Monateri coi comuni di San Francesco e San Maurizio, per l’ing. Enzo Mattiotto col comune di Caselle e lo farò per molti altri cittadini che hanno lasciato un’impronta nei paesi, nelle cittadine nelle regioni e nelle nazioni in cui hanno vissuto.

Non posso parlare di Ettore Gramaglia Pittore e scultore come critico d'arte perché non sono un critico d’arte ma parlerò sia dell’artista che dell’uomo, sia del Pittore che del padre per quanto l’ho conosciuto e per quanto un giovane di ventitré anni (questa è l’età in cui lo conobbi) può arrivare a comprendere un artista di grandi capacità, di grandi qualità umane, di grande intelligenza che ha attraversando due guerre mondiali e tutti i disastri di quelle guerre, che  ha contribuito alla rinascita di un paese a cui ha donato tutto il suo grande talento artistico e che, passati i settant’anni, manteneva inalterata l’intelligenza e la curiosità artistica e intellettuale che aveva caratterizzato la sua vita.

Lo conobbi quando conobbi il figlio Giancarlo e cominciai a frequentarlo nella sua bella casa arredata coi suoi mobili, con i suoi quadri con le sue sculture. Quando ci entrai la prima volta, ricordo ancora l'impressione che mi fece il grande quadro accanto al divano dove lui era seduto. E' quella meraviglia meraviglia d’espressività, colori e pennellate, dal titolo Le comari, la cui immagine fotografica ho inserito sopra a cappello di questo indegno POST. Un'immagine che neppur lontanamente conserva la vivida espressività e lo splendore dell'originale. Ancor oggi, dopo aver osservato le opere riportate nel libro curato da Giancarlo lo metto al di sopra di tutti gli altri  ma forse questa preferenza è dovuta al ricordo allo stupore e all'ammirazione provati. Amo molto anche

Mi ritrovai altre volte ad ammirare quel grande quadro nel salotto di casa, mentre il padre Ettore parlava tranquillo, leggeva il giornale o seduto sul tavolo combinava una delle sue tante creazioni coi legni e legnetti raccolti nelle lunghe passeggiare che faceva lungo le riva del torrente Stura. Certe volte andava in garage o in cantina a dipingerli a limarli, a incollarli e poi rivedevi quei legnetti trasformati in giocosi fantasmi dei boschi, che nel ricordo avvicino nella fantasia alle magiche sculture letterarie del mondo di mezzo dell’incredibile romanzo IL SIGNORE DEGLI ANELLI  di TOLKIEN   




Raccontavo come lo conobbi e neppure ora  riesco a descrivere il senso di meraviglia di fronte a tutta quella meraviglia di colori quando lo stesso Ettore, in non più di dieci minuti, mi illustrò con poche e frettolose parole, quasi con pudore,  quell'incredibile quantità e varietà di oggetti, mobili, quadri e colori. Era un uomo semplice e cordiale. Un carattere meno schivo avrebbe potuto diffondersi per giorni interi.

Quella prima volta conobbi anche sua moglie, una vecchietta non meno vivace del marito. Due vecchietti ancora vigorosi , aperti, allegri, tolleranti, borbottoni che, alla fortuna e alla gioia di vivere insieme per una vita, aggiungevano la fortuna di continuare insieme in vecchiaia la loro avventura.
Molto tempo dopo incontrai la signora in banca, alla Cassa di Risparmi di Ciriè, mentre allo sportello della cassa provvedeva alla scorta mensile di denaro. Quando il cassiere ebbe contato i biglietti davanti a lei, nella precisa composizione di tagli che lei aveva ordinato,  lei si mise di fianco alla cassa e, mentre gli altri clienti in coda svolgevano le loro pratiche, ricontò due volte con pazienza, quei soldi destinati a trasformarsi in arrosti, torte, e bistecche per Giancarlo, il re della casa e per Ettore il re amorevolmente detronizzato.  
Pensai allora che uomini eccezionali come Ettore Gramaglia possono inseguire le loro fantasie e produrle in pace solo se al loro fianco hanno una compagna che conta due volte i soldi prima di firmare e dimostra una tale puntualità, attenzione, sollecitudine verso la famiglia. Una sollecitudine attenta che liberava il marito verso i suoi spazi e lo agevolava nel suo volo che abbandonava il mondo dei banali relitti dei tronchi, dei rametti, delle pietre per entrare nel fantastico mondo degli elfi e delle divinità dei Boschi delle terre di mezzo.    


Non era un pittore ripetitivo come lo sono molti. Troppi, a mio avviso. Penso a Capogrossi con le sue forchette, penso a Mondrian con i suoi lego primitivi, penso a Campigli con le sue figurine di donne, a Morandi con le sue bottiglie e, tra i più recenti, penso alle sfere parzialmente devastate di Pomodoro che svelano al di là di un esterno perfetto e simmetrico un interno tormentato, agli igloo di   Mario Mertz e non mi piace questo tipo di creatività che, trovato un soggetto in cui ben si riflette la propria ispirazione, lì si fermano ripetendo la stessa sfera, la stessa figurina lo stesso simbolo in grandezze diverse e diverse configurazioni. Mi paiono copie o variazioni di copie e mi danno l’idea di una immobilità d’ispirazione, di un volontaria chiusura, di una sicura e comoda cella in cui chiudersi. Quando, dopo la sua morte, aprirono il deposito di Picasso trovarono quasi ventimila tra quadri piatti e sculture. Picasso come Matisse era un incendiario inarrivabile ma ve lo immaginate la monotonia dei magazzini se veramente fossero esistiti?! Ventimila quadri di forchette di Capogrossi? Ventimila sfere diversamente dentate di Pomodoro?  Quasi un incubo.

E’ vero che anche i anche classici disegnavano spesso gli stessi soggetti ma possiamo con piacere guardare i loro cataloghi. Ve lo immaginate che noia un catalogo di sfere sfondate e sfregiate  ? Ve lo immaginate un catalogo delle forchette di Capogrossi. Appena sopportabili sarebbero quelli di Campigli e di Morandi e questo lo dico perché sono un loro grande ammiratore.

Ettore Gramaglia, pittore autodidatta, seppe evolvere la sua arte e i suoi soggetti. Mi piacciono le composizioni del primo periodo e gli ultimi ritratti quando riusciva con tratto deciso forte tracciare i confini di un volto, come in questo quadro olio su tela, 40x50, dal titolo significativo L'infinito ... girotondo.



Io e Giancarlo,allora soci nella ditta LARA, portavamo avanti i nostri lavori ma lui non stava certo a guardare. Quando non avevamo problemi da risolvere e da sottoporgli, lui lavorava, costruiva mobili, (costruì tre sedie e le scolpì, un grande banco da lavoro che ancora oggi fa bella mostra nel cortile del pensiero del figlio Giancarlo, il banchetto di saldatura, uno sgabello e una quantità di mini sculture). Curioso, vivo e intelligente  qual era non si accontentava di vedere noi lavorare ma voleva anche capire. A un certo punto cominciò a studiare quella strana cosa che era l’oscilloscopio e non ebbe pace finchè, procuratosi un libro che lo illustrava, non potè cominciare a manovrarlo.

Spesso al mattino andava a passeggiare nei boschi lungo Stura, non solo per passeggiare  fra gli amati alberi ma per cercare pezzi di legno, rami caduti o depositati dalla corrente della Stura, in cui già intravedeva qualche forma che attendeva solo le sue mani magiche per uscire alla luce. Vidi nascere molti di quelle piccole sculture-composizioni che tutti possono ammirare, almeno in fotografia nel complesso libro Catalogo delle opere di ETTORE GRAMAGLIA, con sottotitolo DIALOGHI FRA PADRE E FIGLIO di Giancarlo Gramaglia, che lungi dall'essere solo un catalogo che presenta le opere, assume il significato di un incontro colloquiato tra padre e figlio, che opera e interpreta con amore un avvicinamento che attraversa il tempo. Ma di questo bello e intricato libro parlerò in un altro blog ad esso interamente dedicato.      

Padre e figlio ogni tanto facevano baruffa, brontolavano e battibeccavano. Erano normali interazioni padre e figlio,  quei normali contrasti generazionali di cui tanto si parla ma che io non sapevo interpretare come tali. Mi davano fastidio e mi dava fastidio che il figlio Giancarlo entrasse tanto facilmente in contrasto, un contrasto addirittura irrispettoso che allora non capivo come non capivo in genere i contrasti padre figlio cui mi capitava di assistere. Mio padre era morto quando io avevo quattordici anni e non ero passato attraverso quel tipo di esperienza che segna i rapporti padre-figlio durante l’adolescenza e la giovinezza. Oggi posso dire che invidiavo gli amici che avevano un padre e che, non potendo sperimentare e interfacciarmi con quel tipo d’interazioni che vedevo non solo tra Giancarlo e suo padre ma anche tra il mio amico Roberto Tancini e suo padre, non li capivo, non capivo la loro funzione, tacevo ed esecravo non certo i padri ma i figli che giudicavo ingiusti e irrispettosi verso i padri. 
Certamente pativo la mancanza di mio padre e certamente ad entrambi invidiavo quella importante presenza. Capii presto che non era affatto una mancanza di rispetto e d’affetto e il libro che Giancarlo ha scritto con tanta cura, il sito web con le opere del padre da lui curato, le parole con cui ne parla, sono testimonianze del grande affetto e della grande considerazione che provava. Una affetto e una considerazione che col tempo si sono ingigantiti. Giustamente ingigantiti.



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